Allungata sulla strada provinciale Santerno-Ammonite la località è censita nel 1359 fra i beni dei Polentani: Vallis Amonita. La presenza di un canale “Da Polenta”, ora fossato in parte tombato a nord dell’abitato, in dialetto fos d’Pulenta, forse porta il ricordo dell’antica dominazione. Il nome deriva (A. Polloni, Toponomastica Romagnola, 1966) dal latino munitus, munire, rinforzare un argine. Munita nel significato di difesa è forse meno plausibile di “chiusa”. Il termine romagnolo munì chiudere, murare un’apertura, ma anche colmare, riempire una buca o un avvallamento del terreno. Il termine corrente, nel dialetto è Agli Amunid, le Ammonite, che la paretimologia popolaresca (e scherzosa) spiega così: nel luogo vi era in passato un edificio religioso dove venivano inviate (a meditare…) le monache “ammonite”! Argine rinforzato o fossa colmata, l’origine del nome è legata alla morfologia del terreno, interessato allo scorrimento di acque. Nel gigantesco “domino” fluviale avviato nei pressi di Russi da Federico II di Svevia nel 1240, il Lamone viene inalveato in un nuovo cavo per Forcolo (Piangipane) e inviato a spagliare nella valle Bertina. Successivamente il Lamone, dal castello di Raffanara (Palazzo San Giacomo) è condotto nell’alveo “secchissimo” del Senio-Santerno. Questo fiume proseguiva per Santerno il cui toponimo sembra proprio da ricondurre al transito fluviale. Per quasi due secoli sono attivi entrambi i rami del Lamone. Quello più a mezzogiorno, da Godo a Piangipane, viene tagliato più volte a scopo bonificatorio. Non si può escludere che il flumen Animo fosse cavedonato a nord-est (lasciando il toponimo di Borgo Anime?). Il ramo settentrionale, quello di Ammonite spaglia nelle grandi valli di San Vitale, in quella parte di esse, chiamata Fenaria, vicina a Savarna. Un documento d’epoca veneziana (metà del XV secolo) attesta questo tracciato: Santerno, Ammonite, Mezzano (Mezzan de Po) e Savarna. Il cavedone di Borgo Anime, alimentato sempre meno, si spegnerà del tutto. Da allora Ammonite è sulla destra del Lamone, che nella storia porta il nome di Alamon, Animo, Anemo, Raffanara, Faentino, Alamonis, Amone. L’insediamento si consolida con l’inalveamento del Lamone nel Primaro da Savarna a Sant’Alberto, promosso dai Veneziani, che potenziano questa via di traffico dopo il loro arrivo nel ravennate (anno 1441). La Serenissima avvia importanti lavori di bonifica e miglioramento idraulico dei terreni alla destra del Lamone. Questi contratti prevedono l’assegnazione di ampie tenute agricole: in cambio gli assegnatari, le famiglie nobiliari veneziane, costruiscono case rurali provviste di stalle e magazzini. È un vero e proprio “progetto di finanza”, che, nel giro di mezzo secolo mette a coltura centinaia di ettari con avviate produzioni di grano e canapa.
Da Santerno ad Ammonite fino a Savarna, alla conclusione della dominazione veneziana (1509) vasti insediamenti agricoli dei Mocenigo, Venier, Soranzo, Giorgi, Donati e Contarini favoriscono la crescita della popolazione nelle campagne attorno ad Ammonite. L’attuale toponimo “le veneziane” ricorda un vasto insediamento di fine Quattrocento, due chilometri a levante di Ammonite. Fino al Seicento la zona viene interessata dall’appoderamento di vaste tenute ecclesiastiche e nobiliari, dove i Rasponi fanno la parte del leone, esercitando il loro potere senza troppi scrupoli, avvalendosi di “cagnetti” o “mascalzoni”: da cui forse trae origine il cognome “Mascanzoni”. Il XVII Sec. vede una marcata contrazione economica e demografica che fa arretrare le produzioni agricole e la bonifica idraulica che nel secolo precedente avevano regalato terre. Le numerose rotte fluviali, disalveamenti ed esondazioni creano notevoli danni, soprattutto a valle di Ammonite dove il Lamone serpeggia pigramente prima di riversarsi a fatica in mare. Il cardinale Legato Giulio Alberoni fra i vari interventi che adotta nel suo breve ma intensissimo mandato (1735 – 1740), promuove il taglio del Lamone dirigendone la foce a scirocco. Un provvedimento che facilita l’uscita del flusso d’acqua, adottato per evitare l’interrimento del nuovo porto e del suo canale Naviglio (il Candiano). Purtroppo i problemi del fiume risiedevano nella sua eccessiva lunghezza che ne impediva il regolare deflusso. Il punto di massima altezza sul piano di campagna dell’alveo supera i 2 metri poco a monte di Santerno. La pensilità e lo scarso cadente del letto favoriscono numerose rotte, due delle quali sono documentate dal ricercatore Paolo Piccinini, curatore e “custode” dell’archivio parrocchiale di Santerno: «Una prima volta il fiume ruppe il 18 marzo 1729 all’altezza del Borghetto (ora carraia Bezzi). Non sono censiti gravi danni materiali. La rotta fu chiusa il 10 luglio dello stesso anno. Nello stesso punto, a Santerno, sempre sull’argine destro del Lamone, il giorno 8 marzo del 1731 si verificò una rotta che fu risanata il 20 aprile dello stesso anno». Le notizie riportate da Piccinini permettono brevi considerazioni sugli eventi primaverili, maggiormente violenti e per questo dannosi per la fragilità degli argini, ma non può essere taciuto il livello di efficienza dei Genieri ed idraulici pontifici nell’intervenire per ripristinare la difesa del territorio.
Gli elementi che portano alla piena “secolare” si verificano la mattina del 7 dicembre 1839. Una data che cambierà la storia e la geografia di Ravenna e di gran parte del suo territorio.